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[Roma, Via Appia/1]
Appena fuori dalle mura antiche di Roma, si è conservato quasi per miracolo un frammento di campagna e di verde, attraversato dalla via consolare per eccellenza, l’Appia.
Seguendo il tracciato della strada, è possibile imbattersi, nel raggio di poche centinaia di metri, nelle tracce lasciate da varie epoche storiche: l’età romana ovviamente, ma anche il Medioevo, per giungere fino agli splendori del Barocco.
L’Appia è stata per secoli via di comunicazione, ma anche area sepolcrale: si alternano infatti lungo il suo percorso tombe di epoca romana e catacombe cristiane.
Strada dei vivi quindi, ma anche luogo di sepoltura dei morti, la cui memoria ancora sopravvive nelle tante iscrizioni sepolcrali.
E per farvi capire la straordinaria ricchezza di questa zona della città, vi mostro il primo dei suoi tesori, che in qualche modo li racchiude tutti: sulla sinistra forse riconoscerete uno dei più celebri monumenti di Roma, il Mausoleo di Cecilia Metella, costruito proprio lungo l’Appia Antica nel I sec. a.C.
Ma se è vero che basta cambiare punto di vista per dare un nuovo significato alla realtà, dovete sapere che in realtà siamo anche all’interno di un castello medievale, il “castrum Caetani”, costruito dal cardinale Francesco Caetani nel 1302, per volere di suo zio Benedetto, il celebre papa Bonifacio VIII.
Quello che vedete accanto al Mausoleo di Cecilia Metella è il palazzo Caetani, la residenza signorile all’interno del castello, che come potete vedere ha letteralmente inglobato l’antico sepolcro, trasformandolo in mastio, la torre difensiva principale.
E questa è solo la prima delle tante storie che è possibile raccontare camminando lungo l’Appia Antica. •
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[Roma, Via Appia/7]
Ai sepolcri pagani, sull’Appia si alternano numerose catacombe cristiane.
Una delle più celebri è quella legata al nome di S. Sebastiano, il soldato romano martirizzato, secondo la tradizione, durante il regno di Diocleziano (sicuramente avrete visto almeno una raffigurazione del suo martirio: è il santo che, legato a una colonna, viene trafitto dalle frecce dei suoi commilitoni. Ma di questo ci sarà modo di parlare in un altro post). In realtà, prima della dedica a Sebastiano, questo luogo era legato alla memoria di Pietro e Paolo, perché qui erano stati conservati i corpi degli apostoli durante le persecuzioni.
E la prima chiesa infatti, voluta da Costantino, era chiamata “Basilica Apostolorum”. Dell’edificio costantiniano non rimane quasi nulla purtroppo, ma anche questa basilica era del tipo “circiforme”, simile a un circo, come quella di S. Agnese fuori le mura, se ricordate un post che avevo pubblicato lo scorso inverno (le catacombe si sono invece conservate, ma non è consentito scattare foto al loro interno). La basilica che vediamo oggi è un edificio barocco, voluto da Scipione Borghese e realizzato da Flaminio Ponzio agli inizi del ‘600.
Sono diverse le meraviglie che è possibile ammirare al suo interno: la prima la intravedete già, è il soffitto ligneo seicentesco, che merita un post a parte per ammirarne i dettagli.
Nella prima cappella a destra, trovate il “Salvator Mundi”, ritenuta l’ultima opera realizzata da Bernini, ma su cui è ancora accesa una discussione accademica, che non sono ovviamente in grado di risolvere (anzi, se qualche studioso/a di età barocca ne sa qualcosa in più, sarei curioso di sapere i dettagli della disputa). Ma quella che secondo me è l’opera che merita da sola la visita alla basilica si trova nella prima cappella di sinistra, al di sotto dell’altare.
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Complesso/Villa di Massenzio, lungo l’Appia Antica.
Il sito archeologico, a ingresso gratuito per tutti, comprende i maestosi resti del Circo, del Palazzo e del Mausoleo dinastico (sepolcro di famiglia) dell’imperatore Massenzio, il grande sconfitto nella battaglia di Ponte Milvio, a opera di Costantino (312 d.C).
Assolutamente da visitare.
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[Roma, Via Appia/5]
Non può mancare una chiesa all’interno di un castello medievale. E questo piccolo edificio, che sembra sorgere in aperta campagna, ma in realtà è a poca distanza dal Palazzo dei Caetani, è particolarmente importante per una ragione precisa: è uno dei rarissimi esempi di arte gotica sopravvissuti a Roma (l’altro è la chiesa di S. Maria sopra Minerva, che però è stata molto restaurata nel XIX secolo). Lo vedete, il tetto non esiste più, così come il pavimento, che ormai è stato sostituito dal terreno e dall’erba, e nonostante si tratti di una chiesa gotica, l’edificio colpisce per la sua semplicità: una sola navata, una facciata senza ricche decorazioni, un’abside poco profonda.
La chiesa era intitolata a S. Nicola, ed è nota appunto come S. Nicola a Capo di Bove, sempre con riferimento alla decorazione del Mausoleo di Cecilia Metella.
Si tratta della cappella di “palazzo“, utilizzata dagli esponenti della nobile famiglia dei Caetani.
Camminando intorno all’edificio, si scoprono lungo i suoi fianchi le piccole monofore che illuminavano l’interno della chiesa (le cornici che si vedo temo siano di restauro, anche se non ne ho la certezza). È un po’ questo lo sforzo di immaginazione da fare osservando la chiesa di S. Nicola: la luce che oggi domina l’edificio a causa del crollo del tetto, all’epoca filtrava dalla vetrate e dal rosone, e si andava a diffondere lungo le pareti di questo piccolo luogo di culto. •
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[Roma, Via Appia/4] “A Cecilia Metella, figlia di Quinto Cretico e (moglie) di Crasso”. Queste poche parole sono tutto quello che sappiamo della donna che doveva essere sepolta qui, nel suo imponente mausoleo lungo la via Appia.
Del padre abbiamo più notizie, era un importante uomo politico del I sec. a. C., noto per aver sottomesso Creta (da cui il soprannome di “Cretico”), e il marito di Cecilia era forse il figlio del celebre Crasso, uno dei membri del triumvirato con Cesare e Pompeo.
Il mausoleo è una grande struttura cilindrica, rivestita di travertino e poggiata su un basamento quadrangolare. Al suo interno conserva ancora la camera sepolcrale, a cui è possibile accedere tramite un breve corridoio.
Se osservate la sommità del mausoleo, al di sopra dell’epigrafe, potete notare una decorazione a bucrani (teste scheletriche di bue) e ghirlande, interrotta da un trofeo militare con elmo e scudi e, al di sotto, un prigioniero, forse a ricordare le imprese del padre di Cecilia.
E proprio i bucrani non sono rimasti inosservati nel Medioevo: il monumento, e tutta la zona circostante, era infatti nota come “Capo di Bove”, denominazione derivata dal fregio del sepolcro (e il mausoleo oggi ci appare come una vera e propria torre difensiva, grazie anche all’aggiunta della merlatura in età medievale). Tornando a parlare di nomi, quello di Cecilia è tutto ciò che ci rimane di lei: esponente di importanti famiglie nobili di Roma, Cecilia è stata sepolta qui, nel terzo mausoleo della città per dimensioni, per dare lustro e importanza alla sua famiglia, ma anche per permettere a chiunque transitasse per l’Appia di ricordare il suo nome (quanto è diversa la nostra concezione dei cimiteri: sembra quasi si vogliano nascondere i morti in luoghi separati da quelli dei vivi, lasciandone così svanire anche il ricordo). Ma il nome di Cecilia sopravvive anche in un’altra maniera molto particolare: scendendo nel sottosuolo del castrum, è possibile scoprire i resti di una colata lavica di 260.000 anni fa, sopra la quale è sorto il mausoleo.
E la pietra che si è formata dal raffreddamento della lava è chiamata proprio “Cecilite”.
Sulla via Appia Antica, di fronte alla tomba di Cecilia Metella, sorgono i resti della chiesa di S. Nicola a Capo di Bove rimasta senza soffitto, come la più nota chiesa di San Galgano in Toscana. Qui non ci sono spade conficcate nella roccia ma l’atmosfera, complici i pini e i cipressi che si ergono come verdi obelischi e le mura medievali che la circondano, è affascinante!
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Foto di @_.pseudolo, grazie!
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[Roma, Via Appia/6]
Basta allontanarsi di pochi metri dal Castello dei Caetani, per compiere un viaggio indietro nel tempo di un millennio rispetto alla sua costruzione.
Lungo la Via Appia sorgeva infatti anche una monumentale residenza imperiale, la villa di Massenzio, l’avversario di Costantino.
Del complesso, costruito agli inizi del IV secolo d.C., oggi rimangono gli edifici principali, come il palazzo, il circo e il mausoleo dinastico.
Il circo vi colpisce subito per la sua presenza, che è al tempo stesso fisica e immateriale: sopravvivono le alte torri che chiudevano il lato curvo dell’edificio, mentre al suo interno, dove in passato hanno corso carri, cavalli e cavalieri, un folto prato si è impossessato della struttura.
Queste imponenti ville imperiali erano molto diffuse in età tardoantica, e non deve stupire la presenza di un circo privato: un imperatore, o un aspirante tale, poteva permettersi il lusso di assistere a spettacoli circensi all’interno della sua residenza.
Oltrepassando il circo, è possibile visitare il mausoleo della famiglia di Massenzio, dove probabilmente era stato sepolto il figlio Romolo, morto giovanissimo in circostanze poco chiare.
La tomba era stata progettata su due piani: il primo, interrato, ospita la cripta, mentre il secondo, forse mai realizzato, doveva essere realizzato a forma di tempietto.
Oggi è possibile entrare nel mausoleo, dove affiorano sulle pareti tracce di affreschi, e ammirare la camera funeraria, ormai spogliata di tutte le sue decorazioni: resta soltanto il grande pilastro centrale che sorregge la cripta, e le nicchie dove erano ospitati i defunti (vi lascio qualche video relativo a questi ambienti). E abbandonando la villa di Massenzio, viene spontaneo giocare con i se e con i ma, cosa che chi si occupa di passato non dovrebbe mai fare, e domandarsi: come sarebbe cambiato il mondo se, nella celebre battaglia di Ponte Milvio, Massenzio avesse sconfitto Costantino?
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[Roma, Via Appia/3]
Il tetto è crollato, i solai e i soffitti non esistono più. Di quella che nel Medioevo era una dimora signorile non rimane che lo scheletro, le mura che con degli enormi archi vanno ad arrampicarsi sul mausoleo di Cecilia Metella.
Però le mura in qualche modo continuano a parlare. Se provate a leggere le tracce rimaste, potete intuire come il palazzo Caetani avesse due piani, con un grande salone affrescato, riscaldato da un camino, che si apriva sulla via Appia tramite due bifore.
E oggi, le rovine del palazzo sono diventate un museo a cielo aperto, dove sono ospitate statue e rilievi funerari di età romana, rinvenuti lungo la via Appia.
Se le guardate così, nel silenzio del castello interrotto soltanto dal cinguettio di qualche uccello, queste sculture sembrano le testimoni silenziose di un passato che sembra ancora in parte sopravvivere. •
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